Un Pilota.

Ieri sono stato ad un funerale.

Non il primo a cui vado. Ma fra le molte funzioni con cui salutiamo le persone a noi care, è stata la mia prima volta al funerale di un pilota.

Quest’uomo, di cui non sapevo nulla se non le storie raccontate dalla voce di sua figlia, mi ha molto spesso ricordato mio padre.

Ieri, in un pomeriggio così caldo da soffocare, ho varcato la soglia della chiesa e mi sono messo tra i banchi laterali, al riparo dalle “luci di scena” che spesso accompagnano il mio essere in sedia a rotelle.

Senza che l’avessi scelto mi sono ritrovato a guardare la bara in legno chiaro del pilota, che se ne stava al centro della navata con il suo cappello blu scuro, appoggiatovi sopra.

Non chiedetemi perché, ma per quanto mi sforzi in occasioni come queste, faccio davvero fatica a focalizzarmi sul presente. Che sia un disturbo dell’attenzione mai diagnosticato, o un meccanismo di protezione del mio cervello che si attiva in presenza della morte, durante i funerali mi trovo spesso a lasciar correre i pensieri.

C’ho provato ad ascoltare, ieri. Ricordandomi che a questo pilota così caro a tante persone, avrei dovuto prestare più attenzione.

Mi sono concentrato sull’omelia del prete e su quel cappello blu scuro, pensando che il pilota che l’aveva indossato fino a poco prima, di cieli ne aveva solcati tanti.

Mi sono chiesto se avesse mai pensato che un giorno, su quel cappello, si sarebbero posati i miei occhi.

Mi facevo queste domande e, fissandolo, sembrava quasi che ricambiasse allo stesso tempo il mio sguardo, e quello di tutti gli altri.

Poi l’organo ha iniziato a suonare, e le persone si sono alzate.

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Riflessi.

Questa sera fumavo una sigaretta in bagno, davanti allo specchio enorme che si trova dietro i lavandini.

Fissavo l’immagine riflessa, mentre sbuffavo il fumo a ripetizione, senza curarmi troppo dei particolari.

Ero quasi arrivato al filtro, quando i miei occhi hanno incontrato quelli del ragazzo in sedia a rotelle che mi stava seduto di fronte.

Senza che aprisse bocca, o emettesse un singolo suono, ho capito ciò che aveva da dire in quei profondi occhi azzurri: “Siamo la stessa persona, testina! Te ne sei già dimenticato?”.

Ho sentito il suolo aprirsi sotto di me, mentre un brivido freddo mi ha percorso la schiena.

Com’è possibile tutto ciò? Perché vedendo la mia immagine riflessa in uno specchio, mi ostino a non vedere una persona in sedia a rotelle?

Ho fissato per un po’ quel ragazzo che ricambiava le mie occhiate dallo specchio, cercando di scorgere altri messaggi in quegli occhi che si facevano via via, più tristi.

Alla noncuranza di prima, ho sentito sostituirsi la malinconia.

Poi, com’è arrivata, allo stesso modo se n’è andata. O forse così, ha voluto che credessi la mia mente.

Mi sono riproposto, in questi ultimi anni, di abbattere lo schermo che porta il mio cervello a filtrare la mia situazione, facendomene dimenticare l’esistenza. Mi ripeto che devo imparare a riconoscere la persona che ricambia i miei sguardi nello specchio, perché solo così imparerò ad apprezzarne il valore.

Eppure, nonostante abbia preso questa decisione con risolutezza, mi rendo conto raramente di essere tetraplegico. Questo meccanismo, abitudine, costrutto mentale (chiamatelo un po’ come volete) che mi ha salvato la vita anni fa, è un vizio veramente difficile da estirpare.

Sono consapevole della sua esistenza, ma non riesco a combatterlo.

E per quanto alcuni di voi la possano considerare una conseguenza giustificata di ciò che mi è successo, sono consapevole che ciò sia una mia grande mancanza.

Perché imparare ad essere consapevole di essere in sedia a rotelle, sarà la chiave che mi permetterà di sbloccare il mio potenziale, e fare l’ennesimo passo in avanti.

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Happy Birthday Marqo.it!

Avevo già previsto tutto: domani mattina mi sarei svegliato, avrei aperto il computer e iniziato a scrivere un post per festeggiare i sette anni di questo blog.

Ma mentre sto qui sdraiato nel letto ad ascoltare musica proveniente dai lontanissimi anni 2000, ritrovo l’antico richiamo che ultimamente mi brucia un po’ meno nel petto. Scrivere.

Quindi, almeno questa notte, lascerò che a parlare sia ciò che ho sepolto appena dietro gli occhi.

Sette anni dicevo. Una serie infinita di giorni che mi hanno visto assente e produttivo in un’altalena infinita che mi porta ad esprimere, nel bene e nel male, il meglio e il peggio di cui sono capace.

Cosa provo in questo momento? Nostalgia.

Forse per colpa della musica. Oppure perché ripenso al giorno in cui ho scritto il primo post con lo pseudonimo di marqo.

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Time 2.0

Oggi è stata una domenica che in inglese definirei con la parola Numb, ossia intorpidita. Sono esattamente le 21:47, il Milan sta vincendo 2 a 0 sul Cagliari, fuori diluvia e la mia connessione a Internet (tanto per cambiare) non funziona. In camera mia l’oscurità regna sovrana, fatta eccezione per la luce emanata dallo schermo del computer, e la spia del router con scritto “connessione” che lampeggia ostinatamente. Fuori dalla finestra, il ritmico ticchettare delle gocce di pioggia si mischia ai lamenti strazianti di un gatto, che mi chiedo se sia membro della gang di felini con cui ho iniziato una faida nelle ultime settimane (se non hai idea di che cosa stia parlando, dovresti seguirmi su Instagram).

Dopo una prima incazzatura con il fato, complice di avermi regalato la connessione internet peggiore della storia, mi sono detto che non c’era nulla da fare, e che sarebbe stato meglio buttar giù due parole. Quindi eccomi qui! Intorpidito, come intorpidita è stata questa seconda domenica di febbraio, a parlare del tempo.

Appena battute queste ultime tre parole, mi sono reso conto che “parlare del tempo” può essere interpretato in modi diversi, quindi una piccola chiarificazione. Sebbene abbia iniziato nominando la pioggia, questo post non tratterà il tempo in termini meteorologici. Per quello ci sarà spazio quando sarò pensionato, e non avrò più nulla da dire.

Il tempo di cui voglio parlare stasera, e di cui avevo parlato in precedenza in un altro post (che risulta ai miei occhi, stranamente, ben scritto) è quello che ci scorre davanti al naso ogni singolo giorno che passiamo sulla terra.

Noi esseri umani lo quantifichiamo in secondi, minuti, ore e giorni. Alcuni tra noi, in attimi, respiri o palpitazioni cardiache. C’è chi lo chiama tempo, chi lo chiama vita, chi supplizio, chi noia.

Per i cani, va sette volte più veloce.

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Vergogna

Ci risiamo. Sono, per l’ennesima volta, sprovvisto di connessione a Internet. Proprio come una settimana fa, mi ritrovo off the grid, ed ho deciso di sfruttare questo momento per buttare giù due parole. Di cosa parlerò, ancora non lo so, ma cercherò di dare un senso al mio blaterare mentre scrivo. A differenza di settimana scorsa, oggi mi trovo in cascina, nella casa che mio padre ha in affitto da una decina di anni. Come ogni cascina che si rispetti, anche questa è sperduta in mezzo alla campagna. È circondata da centinaia e centinaia di campi coltivati a granoturco (?), ed è forse questa la ragione per cui la connessione Internet qui viaggia a velocità del terzo mondo.

In sottofondo, dalle casse del surround che ho installato in camera mia la voce di Bruce Springsteen che canta Rosalita, culla i miei pensieri. In questo periodo sto ascoltando molta sua musica, perché sto leggendo la sua biografia. Mi appassionano moltissimo le vite colorate delle rockstar, e sebbene risulti poco scorrevole in certi punti, anche questo libro mi sta offrendo degli spunti molto interessanti. Da un capitolo in particolare, sono rimasto così colpito che intendo suggellarne l’impatto con un tatuaggio.

Finora ne ho parlato con Davide, mio grande amico nonché tatuatore, e insieme abbiamo discusso le varie e possibili posizioni. Lo voglio in una zona visibile, che non venga nascosta dai capelli come succede con il tatuaggio che ho sulla testa, quindi ho pensato al collo. Vi saprò dire più avanti.

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Cambiamento

Ciao! Voglio iniziare questo post salutando tutti i nuovi lettori che sono arrivati dall’articolo de “Il Giornale di Brescia”, siete i benvenuti e mi auguro che vogliate fermarvi per un po’. Detto questo, siccome la fama non mi ha ancora dato totalmente alla testa e le ruote sono ancora salde sul terreno, voglio dare il bentornato a tutti quelli che su marqo.it ci bazzicano da tempo immemore, e ringraziarli per la compagnia. Se ho continuato a scrivere, e a tenere vivo questo spazio disperso nell’etere, il merito è soprattutto vostro.

Ma veniamo a noi. Oggi voglio parlare di un argomento che mi sta molto a cuore, il cambiamento. Continua a leggere Cambiamento

Mi sono ricordato di essere in sedia a rotelle

Stavo scendendo in ascensore, e nelle vetrate che lo circondano, ci ho vista riflessa una persona. Con un’espressione familiare, quel ragazzo mi fissava dritto negli occhi. Non sorrideva, ne pareva triste. Se ne stava lì, a ricambiare il mio sguardo, senza dire una parola. Guardandolo attentamente, l’immagine si è fatta più nitida, ed ho potuto scorgere particolari, nascosti fino ad un attimo prima. Aveva due grandi occhi azzurri. Mi è parso di capire, che avesse gli occhi stanchi.

Dove ti ho già visto? Mi sono chiesto. Cosa ti porta da queste parti? E perché non ti alzi in piedi?

Silenzio. Continua a leggere Mi sono ricordato di essere in sedia a rotelle

Sana Cheema

Questa mattina, mi sono svegliato con una notizia agghiacciante. Sarà sicuramente arrivata anche a voi. Cioè che una ragazza di soli 25 anni, di nome Sana Cheema, è stata barbaramente sgozzata dai suoi familiari mentre era in in Pakistan, e tutto perché si voleva sposare con un ragazzo italiano.

Una notizia simile, può scuotere praticamente chiunque. Lasciare senza parole. A me, ha fatto un effetto diverso. Sì perché, questa notizia è stata pubblicata nel gruppo delle mie ex compagne di classe. Niente di strano, penserete voi, ma qualcosa di strano c’è. Questa ragazza, che i giornali dicono abitasse a Brescia, è stata mia compagna di classe per tre anni. Continua a leggere Sana Cheema

Ho voglia di ballare

Ciao! Sono sempre io, Marqo con la q. E oggi scrivo perché, ho voglia di ballare. Bada bene, quello che seguirà non sarà un post triste. Ne intendo lamentarmi della situazione in cui mi trovo. Però devo esternare ciò che sento, e so farlo bene solo su questo blog! A te, che leggi nell’anonimato,  consegno le mie emozioni, nella speranza che possano essere la scintilla che ti accende il fuoco dentro. Continua a leggere Ho voglia di ballare

Pasqua

Mi è sempre piaciuta la Pasqua. Non tanto per la sua connotazione religiosa, che nella vita non ho mai veramente approfondito (mi considero infatti rimandato a settembre come cattolico), quanto più per il suo significato di rinascita. Sì perché, la Pasqua arriva in primavera e porta con sé una ventata di novità che l’inverno fa dimenticare ai più. C’è il sole, arrivano i primi fiori, i primi profumi, il mondo sembra quasi risvegliarsi. Penso questo, mentre sono nel letto e vedo la luce entrare dalla mia finestra. Continua a leggere Pasqua