Riflessi.

Questa sera fumavo una sigaretta in bagno, davanti allo specchio enorme che si trova dietro i lavandini.

Fissavo l’immagine riflessa, mentre sbuffavo il fumo a ripetizione, senza curarmi troppo dei particolari.

Ero quasi arrivato al filtro, quando i miei occhi hanno incontrato quelli del ragazzo in sedia a rotelle che mi stava seduto di fronte.

Senza che aprisse bocca, o emettesse un singolo suono, ho capito ciò che aveva da dire in quei profondi occhi azzurri: “Siamo la stessa persona, testina! Te ne sei già dimenticato?”.

Ho sentito il suolo aprirsi sotto di me, mentre un brivido freddo mi ha percorso la schiena.

Com’è possibile tutto ciò? Perché vedendo la mia immagine riflessa in uno specchio, mi ostino a non vedere una persona in sedia a rotelle?

Ho fissato per un po’ quel ragazzo che ricambiava le mie occhiate dallo specchio, cercando di scorgere altri messaggi in quegli occhi che si facevano via via, più tristi.

Alla noncuranza di prima, ho sentito sostituirsi la malinconia.

Poi, com’è arrivata, allo stesso modo se n’è andata. O forse così, ha voluto che credessi la mia mente.

Mi sono riproposto, in questi ultimi anni, di abbattere lo schermo che porta il mio cervello a filtrare la mia situazione, facendomene dimenticare l’esistenza. Mi ripeto che devo imparare a riconoscere la persona che ricambia i miei sguardi nello specchio, perché solo così imparerò ad apprezzarne il valore.

Eppure, nonostante abbia preso questa decisione con risolutezza, mi rendo conto raramente di essere tetraplegico. Questo meccanismo, abitudine, costrutto mentale (chiamatelo un po’ come volete) che mi ha salvato la vita anni fa, è un vizio veramente difficile da estirpare.

Sono consapevole della sua esistenza, ma non riesco a combatterlo.

E per quanto alcuni di voi la possano considerare una conseguenza giustificata di ciò che mi è successo, sono consapevole che ciò sia una mia grande mancanza.

Perché imparare ad essere consapevole di essere in sedia a rotelle, sarà la chiave che mi permetterà di sbloccare il mio potenziale, e fare l’ennesimo passo in avanti.

Ho imparato da tempo, col tempo, che mettere la testa sotto la sabbia fingendo che le cose che non ci piacciono non esistono, a lungo andare non porta altro che danni.

Questa sera ho deciso di esternare la mia malinconia, immobilizzandola per sempre in queste parole, perché sono certo che sarà soltanto dandole voce che imparerò ad accettarla come una parte di me.

Allo stesso modo, sono convinto che incontrando il mio sguardo allo specchio, che i miei occhi sorridano o siano tristi, mi porterà un giorno a vedere me stesso per ciò che sono, senza bisogno che la mente colori la verità, nell’obbiettivo di renderla più dolce.

Imparerò ad accettare la mia condizione senza se e senza ma.

Così sarà, e tornerò a correre.

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