
Questa sera osservavo le fronde degli alberi di fronte a casa mia.
Avevano le chiome che scuotevano nel vento, e i rami che si piegavano sotto la forza di quel soffiare.
Osservavo questi giganti silenziosi accettare senza il minimo lamento le sferzate del vento, ed ho lasciato correre i pensieri.
C’era del tumulto, là in alto.
Eppure sembrava che a loro non importasse.
Poi ho cominciato ad osservare dentro di me, ed ho scoperto che dopo tutto, c’era del tumulto anche lì.
A differenza delle piante però, io che pianta non sono, sembravo non voler accettare la tristezza che pian piano iniziava a sgomitare per conquistare più terreno.
Ho sorriso, e quando qualcuno poco dopo mi ha chiesto perché l’avessi fatto, non ho trovato risposta.
Me ne sono rimasto lì, senza proferir parola, ad ascoltare il mondo vorticare.
Mi sono sentito piccolo così, ed ho pensato che dovrei imparare ad essere un po’ più come quegli alberi.
Poi una parola ha tirato l’altra, e come spesso accade, mi sono messo al computer per cercare di dare un senso al mio contorto filo di pensieri.
Non è semplice essere esseri umani, ma vale la pena provarci.
Non è semplice ricordarsi che in fondo non siamo altro che una piccola particella di un tutto, talmente immenso, da essere lontano da ogni umana concezione.
Siamo tutti troppo impegnati a correre, per ricordarci di tanto in tanto che il mondo girerà lo stesso, che noi ci si svegli domattina oppure no.
Che la vita andrà avanti, che si accetti o meno di lasciarla andare.
Non siamo davvero in controllo di nulla, se non delle emozioni che proviamo dentro.
E quando guardiamo le fronde degli alberi scuotersi nel vento dobbiamo ricordarci che nel tempo, quelle chiome, hanno osservato l’incessante ricerca del “di più” di persone proprio come noi.
C’era tumulto là sopra, e c’è tumulto dentro di me.
Vale la pena lasciarlo sfogare, senza opporre resistenza alcuna.
Il vento cesserà, e tornerà il sereno.