
Ieri sono stato ad un funerale.
Non il primo a cui vado. Ma fra le molte funzioni con cui salutiamo le persone a noi care, è stata la mia prima volta al funerale di un pilota.
Quest’uomo, di cui non sapevo nulla se non le storie raccontate dalla voce di sua figlia, mi ha molto spesso ricordato mio padre.
Ieri, in un pomeriggio così caldo da soffocare, ho varcato la soglia della chiesa e mi sono messo tra i banchi laterali, al riparo dalle “luci di scena” che spesso accompagnano il mio essere in sedia a rotelle.
Senza che l’avessi scelto mi sono ritrovato a guardare la bara in legno chiaro del pilota, che se ne stava al centro della navata con il suo cappello blu scuro, appoggiatovi sopra.
Non chiedetemi perché, ma per quanto mi sforzi in occasioni come queste, faccio davvero fatica a focalizzarmi sul presente. Che sia un disturbo dell’attenzione mai diagnosticato, o un meccanismo di protezione del mio cervello che si attiva in presenza della morte, durante i funerali mi trovo spesso a lasciar correre i pensieri.
C’ho provato ad ascoltare, ieri. Ricordandomi che a questo pilota così caro a tante persone, avrei dovuto prestare più attenzione.
Mi sono concentrato sull’omelia del prete e su quel cappello blu scuro, pensando che il pilota che l’aveva indossato fino a poco prima, di cieli ne aveva solcati tanti.
Mi sono chiesto se avesse mai pensato che un giorno, su quel cappello, si sarebbero posati i miei occhi.
Mi facevo queste domande e, fissandolo, sembrava quasi che ricambiasse allo stesso tempo il mio sguardo, e quello di tutti gli altri.
Poi l’organo ha iniziato a suonare, e le persone si sono alzate.
Quando le note dello strumento hanno smesso di rimbombare lungo le pareti della chiesa, del pilota ha parlato sua figlia.
Questa ragazza, che ha un posto tutto suo nel mio cuore, ha espresso parole così belle e struggenti, che solo l’amore di un figlio per un genitore possono concepire.
Poi c’è stato un lungo applauso, scrosciante, e da quella chiesa sono uscito.
Ho fatto il cretino, là fuori, mentre la bara in legno chiaro del pilota veniva caricata in macchina, perché ho scoperto che nei momenti di massima tristezza, mi viene naturale provare a far ridere chi soffre.
Ancora oggi mi chiedo quanto possano, le mie battute, alleviare il dolore di chi ha perduto qualcuno di caro.
Poi sono salito in macchina, e mentre tornavo a casa ho ripensato a quella bara color legno chiaro.
Ci ho visto tutti i miei familiari lì dentro, uno ad uno, che con sguardo severo mi rimproveravano tutte le volte in cui avevo anteposto il mio tempo, a quello che avremmo dovuto passare insieme.
È un pensiero macabro, ve lo concedo. Non avrei bisogno di arrivare a tanto per dare più valore agli affetti.
Eppure anch’io, che di gente morire prima del tempo ne ho vista molta, mi dimentico spesso di celebrare la vita di chi amo, mentre chi amo è ancora in vita.
Ci ho pensato tutto ieri e tutto oggi, a quel pilota di cui sapevo così poco.
A quel suo modo di fare, testardo e ostinato, tanto simile a quello di mio padre.
Si dice che a volte, chi entra nella nostra vita in una forma o nell’altra, lo faccia per darci modo di crescere, impartendoci una lezione che ci renderà migliori.
Io quel pilota non l’ho mai conosciuto, ma mi piace pensare che nel suo ultimo volo, abbia voluto regalarmi la consapevolezza d’esser vivo, e di poter ancora gioire con chi oggi condivide il mio cammino.
Non sono stato attento durante il suo funerale, e spero saprà perdonarmi di ciò.
Ma nel mio piccolo, mi auguro che queste parole possano avere l’effetto di un domino, ricordando a voi ciò ha ricordato a me quel cappello da pilota blu intenso, nel silenzio assordante del pomeriggio di ieri.
Perdoniamo, e impariamo a guardare agli altri senza ostinarci d’aver ragione, perché davvero non ne vale la pena.
Se sceglieremo di accogliere chi amiamo, anteponendo la comprensione e l’amore a tutto il resto, non avremo rimpianti quando arriverà il loro tempo.
Celebreremo finalmente la vita.
La nostra, quella di quel pilota, e di chi oggi non c’è più.
A Corrado, la mia gratitudine.
Buon volo.