Ungarettiani.

Oggi ho avuto la riconferma che la vita da tetraplegico, con tutte le privazioni che ogni giorno devo affrontare, non mi sta così antipatica come credevo. Non fraintendete le mie parole, io vorrei alzarmi in piedi proprio mentre scrivo questo post, ma mi sono accorto di essere un po’ “Ungarettiano” per quanto riguarda la visione dell’esistenza umana sulla terra, perché anch’io come lui vivo situazioni complicate che invece di abbattere il mio morale mi fanno amare la vita di più.

Il caro vecchio Giuseppe questa filosofia di vita l’ha immortalata per sempre nella poesia “Veglia” dove, durante una notte in trincea, è costretto a guardare il cadavere di un suo commilitone; la vista di tale orrore però non suscita in lui sconforto bensì attaccamento alla vita.

Lo stesso pensiero l’ho fatto io oggi pomeriggio mentre il Boeing 737-800 su cui volavo veniva sbattuto e fatto tremare dalle turbolenze, sicuramente una scena meno agghiacciante di quella che ha dovuto sopportare il povero Ungaretti, ma l’idea di schiantarmi a terra e morire non è che fosse tanto piacevole. Come al solito ho dimenticato come avevo intenzione di concludere questo post, quindi mi limiterò a dire questo: L’istinto di sopravvivenza che abbiamo avuto in dono da chi ci ha creati è quasi impossibile da eliminare, si sveglia quando ne hai più bisogno e non vuole sentir ragioni, finché abita il tuo corpo farai qualsiasi cosa per poter respirare un ultima volta.

“Non sono mai stato
tanto
attaccato alla vita”

 

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