Un Pilota.

Ieri sono stato ad un funerale.

Non il primo a cui vado. Ma fra le molte funzioni con cui salutiamo le persone a noi care, è stata la mia prima volta al funerale di un pilota.

Quest’uomo, di cui non sapevo nulla se non le storie raccontate dalla voce di sua figlia, mi ha molto spesso ricordato mio padre.

Ieri, in un pomeriggio così caldo da soffocare, ho varcato la soglia della chiesa e mi sono messo tra i banchi laterali, al riparo dalle “luci di scena” che spesso accompagnano il mio essere in sedia a rotelle.

Senza che l’avessi scelto mi sono ritrovato a guardare la bara in legno chiaro del pilota, che se ne stava al centro della navata con il suo cappello blu scuro, appoggiatovi sopra.

Non chiedetemi perché, ma per quanto mi sforzi in occasioni come queste, faccio davvero fatica a focalizzarmi sul presente. Che sia un disturbo dell’attenzione mai diagnosticato, o un meccanismo di protezione del mio cervello che si attiva in presenza della morte, durante i funerali mi trovo spesso a lasciar correre i pensieri.

C’ho provato ad ascoltare, ieri. Ricordandomi che a questo pilota così caro a tante persone, avrei dovuto prestare più attenzione.

Mi sono concentrato sull’omelia del prete e su quel cappello blu scuro, pensando che il pilota che l’aveva indossato fino a poco prima, di cieli ne aveva solcati tanti.

Mi sono chiesto se avesse mai pensato che un giorno, su quel cappello, si sarebbero posati i miei occhi.

Mi facevo queste domande e, fissandolo, sembrava quasi che ricambiasse allo stesso tempo il mio sguardo, e quello di tutti gli altri.

Poi l’organo ha iniziato a suonare, e le persone si sono alzate.

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Tumulto

Questa sera osservavo le fronde degli alberi di fronte a casa mia.

Avevano le chiome che scuotevano nel vento, e i rami che si piegavano sotto la forza di quel soffiare.

Osservavo questi giganti silenziosi accettare senza il minimo lamento le sferzate del vento, ed ho lasciato correre i pensieri.

C’era del tumulto, là in alto.

Eppure sembrava che a loro non importasse.

Poi ho cominciato ad osservare dentro di me, ed ho scoperto che dopo tutto, c’era del tumulto anche lì.

A differenza delle piante però, io che pianta non sono, sembravo non voler accettare la tristezza che pian piano iniziava a sgomitare per conquistare più terreno.

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La Sentirai Ridere.

Sarà nel sole di un giorno, identico agli altri, che le note della sua voce ti accarezzeranno.

La sentirai ridere nel vento, cristallina e gelida come acqua, e ti fingerai sordo.

Proverai a nascondere quel sentimento indecifrabile che di tanto in tanto ti assale, pensando che il mondo, e lei, non se ne accorgeranno mai.

Potrai raccontartela come hai fatto altre volte, ignorando la risposta che hai sempre avuto nel cuore.

Ma non sarà con questa illusione che cambieranno le cose.

Non cambierai tu, come non cambierà lei.

Poco importa, ti dico. Ci penserà il vento a ristabilire l’equilibrio.

Quella bilancia universale che sembrava in perfetta stabilità, e che insieme avete fatto pendere da un unico verso con così tanta violenza, da mandarla in frantumi, si ricostruirà pian piano.

Lo so che oggi ti sembra impossibile. E che ci soffri. Ma chi si mette in gioco, e sceglie di correre il rischio di vedere il proprio cuore andare in frantumi, pur di sentirlo riempirsi un giorno ancora, ha più resilienza di quanto immagini.

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Stringimi.

Stringimi, che sto per partire.

Ti chiederai dove, magari perché, ma una risposta non ce l’ho.

Non l’avevo allora, e forse non l’avrò mai.

Poco importa. Tu stringimi, che al resto penserà il vento.

Non saranno più le tue, le braccia in cui potrò affondare il volto, e le difficoltà del giorno.

Avremmo dovuto dircelo da tempo.

Ma il tempo, mentre mi stringevi ed io ascoltavo il tuo respiro, non passava mai davvero.

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Un Cuore.

Un cuore lo sa, o forse no, ma poco importa.

Non vuol sentir parlar di logica, in ogni caso.

Un organo curioso, e solitario, che ti porta incessantemente a cercarne uno simile.

Ma nonostante brami l’intrecciarsi per sempre ad un altro, solo rimane, a fare il suo lavoro.

E nella solitudine di cui è artefice, quando un cuore si spezza, a sentirne il frastuono sei solo tu.

Aggiustarlo poi, è faccenda complicata.

Puoi provare a raccoglierne i pezzi, incollarli con mano tremante, ma non c’è colla che tenga.

E sebbene la logica gli suggerisca di attendere paziente, ricomporre i cocci rotti del cuore, a un cuore, risulta impossibile.

Ti dicono che il tempo guarisce ogni ferita, che con lo scorrere dei giorni, i tagli che adesso lo lacerano andranno via via rimarginandosi; si trasformeranno in cicatrici, e tu non proverai più dolore.

Ma valla a spiegare tu questa teoria, a un cuore, quando ad ogni battito si accorge che ne manca un secondo, che fino a poco prima gli batteva all’unisono.

Quel ritmo che nel tempo lo ha alimentato, e che oggi non è altro che un silenzio assordante.

Un cuore lo sa, o finge che non sia così, ma poco importa.

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Il Primo Marzo (del 2021)

Gli anni passano. Veloci. Anzi, velocissimi. Così veloci che mentre ti penso e ne scrivo, posso quasi sentire il tempo scivolarmi tra le dita della mano.

Sarà stato il caso, o l’universo, ma ho iniziato questo post con l’obiettivo di non nominarti. Ho pensato che per una volta, una sola soltanto, avrei potuto brillare della mia luce. Senza per forza riflettere ogni fottuto raggio di sole che filtra su questo blog, sulla chioma infinita di capelli mossi che ti ritrovi.

Mi sbagliavo, ma questo già lo sai. Leggi ogni mio singolo pensiero, stronzetto impertinente. Sai così tante cose sul mio conto da sapere che le ultime parole che ho scritto, non le penso veramente. Almeno dal punto di vista dell’essere uno stronzetto.

Mi sbagliavo sul fatto che non saresti stato al centro del mio ennesimo post del 1 marzo. Avrei potuto prevederlo, considerato il fatto che ci sono giorni in cui sei ancora al centro dei miei pensieri.

Quindi sì, pensare che sarei stato capace di escluderti dalle mie parole scritte, è stato uno sbaglio madornale. L’ennesimo di una lunga striscia di errori commessi, strade sbagliate, vette mai scalate. Eppure, in questi mesi ci un po’ fatto l’abitudine. Saranno l’età, gli anni che passano, i virus che ci aleggiano sul collo, ma non penso di aver mai avuto un periodo che testasse a tal punto la mia pazienza.

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Il Primo Marzo

Ciao Marco. Oggi è il 1 marzo, e sono 11 anni che te ne sei andato. Mi fa strano usare queste ultime parole, perché sebbene abbia già parlato di te al passato, e scritto più volte di come tu non ci sia più, un post come questo rende la cosa ufficiale.

Da quel 1 marzo 2008, sono già passati 11 anni. Una cazzo di vita! E vedessi com’è cambiato mondo. Tutti hanno internet sul telefono, e mandare un messaggio non costa più 15 centesimi. I ragazzini hanno smesso di uscire in compagnia, e non vogliono più il motorino. I carabinieri, mi dicono, hanno cambiato atteggiamento verso i pochi che ancora lo scooter, lo truccano. Non c’è più nessuno che gli scappa, e non hanno più nessuno da rincorrere a sirene spiegate per le vie del paese.

Anche le strade del paese sono cambiate. Gli interminabili rettilinei sono stati interrotti da una serie infinita di rotonde, che riducono gli incidenti ma rendono praticamente impossibile stabilire un record personale di impennata. La musica è cambiata, e con lei tutto ciò che 11 anni fa ti rendeva parte della categoria giovani.

Mi chiedo cosa ne penseresti tu, di questo mondo odierno. In che modo affronteresti le tue sfide quotidiane, tu che ti facevi beffa di tutto e tutti. Se ti fosse stata data l’opportunità di crescerci, in questo strano mondo, che persona saresti diventata? Cosa faresti oggi? Quali sarebbero i tuoi pensieri, e le tue opinioni? Se non te ne fossi andato a 16 anni, chi saresti adesso, bambino mio?

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Maria

Cara nonna, oggi ti ho salutata per sempre. E ti assicuro, che nonostante mi fossi aspettato questo giorno almeno 1 milione di volte, questa sera, il per sempre un po’ mi schiaccia.

È strano, perché mi sono sempre creduto piuttosto distante dinnanzi alla morte, quasi non mi toccasse nemmeno. L’ho sempre considerata, e la considero tuttora, parte inscindibile della vita. Qualcosa di inevitabile.

Sarà perché l’ho vista in faccia, mentre fredda ricambiava il mio sguardo. O perché nella mia breve vita (breve paragonata alla tua) di persone ne ho viste partire più di quante avrei voluto. Magari dipende dalla genetica, o dal carattere. Non so spiegarmelo, so solo che ci ho sempre convissuto bene. Eppure, oggi non è così.

Mi sono svegliato ripensando ai ieri pomeriggio, quando un po’ controvoglia (non mi è mai piaciuto andare a trovare i morti, perché ho sempre pensato sia meglio ricordarsi una persona da viva) sono venuto a trovarti alla camera ardente. Te ne stavi la, sdraiata, con gli occhi chiusi e le mani incrociate. Tra le dita, reggevi un rosario identico a quelli che mille volte ti ho visto stringere nelle mani ogni volta che venivo a casa tua. Ti avevano messo un vestito nero, che tanto piace alla mamma, e un foulard bianco attorno al collo.

Ti ho guardata per un po’, ed ho pensato che la mamma aveva ragione. Sembravi davvero una nobildonna. Mi sono chiesto se quelle a cui hai fatto da governante per tutta la vita, abbiano mai avuto almeno la metà della grazia che esprimevi in quel momento.

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Tradimento

L’idea di oggi era di parlare di visibilità, ma come spesso mi capita, sento il bisogno di esorcizzare dei pensieri che mi frullano in testa da stamattina, e lo farò buttandoli giù in forma scritta. Di questo processo, di esorcismi e di come io riesca a liberarmi di determinate emozioni attraverso la scrittura, voglio parlare in futuro. Mi piacerebbe descrivere il Mio processo creativo, che ad oggi definirei un blocco dello scrittore al contrario. Al contrario, perché ci sono delle emozioni che riesco a liberare solo attraverso la scrittura. Mi capita di essere fermo su un pensiero, una sensazione o uno stato d’animo, e scrivere mi aiuta. Le prime parole hanno lo stesso effetto di una crepa su una diga, e senza che me ne renda conto il rigagnolo d’acqua iniziale si trasforma in un fiume in piena, che porta via con se i detriti, liberandomi. Comunque, sto divagando, e di questo voglio parlarne in futuro.

L’argomento che voglio trattare nel post di oggi, è il tradimento. Non di un tipo di tradimento specifico, ma nel senso più generale del termine. Comincio, quindi, facendovi la seguente domanda: vi siete mai sentiti traditi? E ancora: avete mai tradito?

Sentirsi traditi, o aver tradito, la domanda che vi starete ponendo potrebbe essere chi, o che cosa. Chi ho tradito? (O chi ha tradito me?) Cosa ho tradito? (O che cosa, di mio, è stato tradito?)

A voi che leggete lascio libera interpretazione delle mie parole.

Io è da stamattina che mi sento tradito. Ed è la prima volta in vita mia, che provo questa emozione in maniera così intensa.

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